Cosa significa affermare di essere il “Greatest Rapper Alive”
Il Novembre 23, 2021 da adminNel gennaio 2019, Tory Lanez ha affermato via tweet di essere “THE BEST RAPPER ALIVE RIGHT NOW”. Sedici mesi dopo, ha cancellato questo tweet e, per mezzo di un secondo post da allora cancellato, si è scusato per averlo condiviso in primo luogo, avendo riconosciuto, presumibilmente, ciò che il resto di noi già sa: l’idea che Tory Lanez sia il miglior rapper vivente sembra fondamentalmente, dimostrabilmente ridicola. (Richiama alla mente affermazioni altrettanto assurde fatte da un altro tweeter prolifico su come lui sia “il più grande di tutti i presidenti”; andiamo, amico).
Ma “ridicolo” o anche “trumpiano” non è tutto ciò che era l’affermazione di Tory. Era anche un tentativo vagamente offensivo di una venerata usanza hip-hop: gareggiare in un modo che incoraggia il dibattito per il titolo di “Best/Greatest Rapper Alive” (GRA).
Gli artisti di solito eseguono questa usanza banalmente, o con leggerezza, ma la eseguono con autorità, brio, creatività e zelo. Incarna qualcosa di grande e unico dell’hip-hop, qualcosa che tutti i fan del genere possono apprezzare, anche quelli che sono qui più per la melodia. Vale a dire, incarna il modo in cui l’hip-hop fonde l’arte, la poetica e l’atletismo per creare un mezzo di espressione del tutto proprio.
Considerate, per esempio, la performance di Kendrick Lamar su “The Heart Pt. 4” del 2017, in cui rappa: “Ho messo il piede sull’acceleratore / la testa sul pavimento / Saltando fuori prima che il veicolo si schianti / Sono su un rotolo / Urlando uno due tre quattro cinque / I-am-the-great-est-rapper-alive.” Nella prima quartina, richiama alla mente quel video di Mike Tyson che si allena in palestra, le sue parole volano come pugni sferrati. E poi, quando impiega il flusso fee-fi-fo-fum, suona più come LeBron James che si lancia lungo la corsia, o, meglio ancora, un gigante che introduce blocchi di città alla base della sua scarpa.
Insieme, i versi sono avvincenti, e tuttavia, sono anche musicali e poetici. Si può intuire l’impatto delle parole, l’impronta che lasciano sulla linea temporale dell’hip-hop. Riascoltare la canzone oggi – e seguirla con DAMN, uscito un mese dopo “The Heart Pt. 4” – mi ricorda di guardare The Last Dance, in particolare l’episodio in cui Michael Jordan vince il suo primo anello. Hai la sensazione di essere testimone di qualcosa non solo oggettivamente impressionante, ma significativo nel suo contesto. La conclusione a cui si arriva alla fine dell’esperienza – questo ragazzo è probabilmente il migliore – sembra indiscutibile.
Perché, esattamente, questi testi sembrano così significativi, specialmente in confronto ad altri tentativi di rapper meno abili e d’impatto che cercano di dire essenzialmente la stessa cosa? E perché vale la pena identificare la differenza?
Le risposte hanno a che fare con l’evoluzione dell’hip-hop come forma d’arte. L’hip-hop è nato come una forma di auto-insistenza creativa: la musica delle rose cresciute dal cemento. E a causa della fisicità richiesta dalla performance hip-hop, la grandezza, l’abilità o la realizzazione non è mai stata solo una questione di poetica o di musicalità, ma anche di voracità – una sorta di atletismo performativo.
Questo atletismo, naturalmente, ha portato alla competizione; ai rapper che si battono tra loro, che si superano l’un l’altro sulle canzoni, che affermano aggressivamente che i loro album si qualificano come “classici”, ecc. Con le sue radici nella “poesia della vecchia scuola”, come nota lo scrittore Adam Bradley in Book of Rhymes: The Poetics of Hip Hop, insieme alle sue esigenze fisiche, l’hip-hop è diventato una specie di sport letterario. E come tutti gli sport, i grandi sono inevitabilmente emersi – i grandi che si distinguevano dagli altri. Prima c’erano KRS-One, Rakim, Big Daddy Kane. Poi ci sono stati Ice Cube, Q-Tip, Tupac, Biggie. Ora, abbiamo Kendrick, Cole, Drake.
Come facciamo a sapere che è appropriato parlare di questi artisti nella stessa frase? Ognuno di loro, per un certo periodo, potrebbe affermare in modo convincente di essere il GRA.
Nell’hip-hop, nessun titolo – né dibattito – è più importante. A differenza dell’etichetta GOAT, che viene conferita agli MC di riflesso, tipicamente al crepuscolo della loro carriera, per contendersi il titolo di GRA, devi essere dimostrabilmente stupido in questo momento. E devi essere comparativamente superiore, più influente, più innegabile dei tuoi pari. Il titolo è anche, tecnicamente, sempre in lizza.
Questi fatti conferiscono all’essere il GRA all’incirca la stessa rilevanza culturale dell’essere MVP, Campione dei pesi massimi, o, persino, il Re – ecco perché l’acquisizione del titolo GRA è così spesso definita come “strappare la corona”. Questo è anche il motivo per cui le epoche hip-hop sono definite da quale rapper era, al momento, riconosciuto come il GRA.
Ci sono, naturalmente, una varietà di modi in cui i rapper competono per essere il GRA, poiché ci sono diverse considerazioni essenziali a cui i fan prestano attenzione. Un MC può acquisire il titolo accumulando un numero innegabile di album classici, consegnando una lunga serie di caratteristiche convincenti, vendendo molti dischi, o esercitando un livello ineguagliato di influenza sulla cultura hip-hop.
Drake, per esempio, ha fatto una corsa per la corona sulla base dell’influenza e delle vendite di dischi negli ultimi dieci anni. Nei due anni precedenti, J. Cole – alla maniera del Lil Wayne di metà 2000 – ha rafforzato la sua pretesa per mezzo di una corsa ben pubblicizzata. Qualcuno potrebbe dirvi che Big L è stato, per un certo periodo, il GRA basato puramente sulla sua abilità di cannibalizzare, per quanto fosse relativamente inaccessibile, data la sua mancanza di uscite tradizionali adeguate.
Per competere davvero per il titolo più importante dell’hip-hop, per “vincere” temporaneamente la più stimata delle competizioni disparate della cultura, devi fare tutte queste cose. Poi, devi fare qualcosa di più: devi consacrare la tua contesa proclamando ufficialmente – e in modo convincente – che tu, in effetti, sei già il GRA. In altre parole, non è sufficiente apparire per meritare la cintura del titolo; come lo scrittore Brad Callas ha scritto una volta, la “cintura del titolo non viene passata da un MC all’altro a meno che non venga presa, in modo convincente”.
Non c’è impresa più difficile da compiere nell’hip-hop, e si può imparare molto dal tentativo di un rapper. Il tentativo stesso si rivela indicativo. In alcuni casi – come quando il rapper in questione rompe per la corona via tweet – rivela che non meritano ciò che cercano. Questa posizione è evidente nella mancanza di convinzione, insieme all’impatto ridotto delle parole. Ma a volte, un rapper fa quello che Kendrick ha fatto in “The Heart Pt. 4”, costringendo non solo ad annuire ma a concedere, in modo tale che la proclamazione si raddoppia come un’incoronazione.
Negli ultimi 20 anni – almeno nel contesto dell’hip-hop più mainstream – si può far risalire il regno di ogni disparato GRA a un momento specifico in cui ha affermato in modo convincente, sulla cera, di meritare il titolo.
Il regno di Gil Wayne come GRA, definito dalla bufera di mixtape e featuring che ha scatenato sul mondo, è iniziato nel 2005, quando ha pubblicato “Best Rapper Alive”. Il mandato di Eminem come GRA, che secondo la maggior parte delle stime è durato dal 2000 al 2002, è iniziato su The Marshall Mathers LP quando ha suggerito di essere “l’MC più cattivo di questa terra”. È stato ufficialmente usurpato – secondo l’umile opinione di questo scrittore – solo quando JAY-Z, su “Dirt Off Your Shoulder” del 2003, ha informato il mondo che eravamo “ora sintonizzati sul più grande, cazzo”. Sentirete lo stesso senso di storia nelle vostre cuffie. Riconoscerete perché, in quei momenti, i fan dell’hip-hop hanno preso sul serio le parole di questi rapper e perché non li abbiamo liquidati come abbiamo fatto con il tweet di Lanez l’anno scorso. Hanno creato dei momenti, certo, ma quei momenti stessi riflettevano qualcosa di speciale su questa forma d’arte.
Cedo di provenire da un genere di fan dell’hip-hop che probabilmente prende un po’ troppo sul serio tutta questa cosa dell’hip-hop come poetico-competitivo-sportivo. Nell’hip-hop non ci sono solo i testi. Discutere ossessivamente su quale rapper in un dato momento possa o non possa essere il GRA esige circa la stessa utilità tangibile che guardare un reality TV. Eppure, è divertente pensare a queste cose. Ed è illuminante.
Pensare seriamente a cosa rende grande o unico un artista hip-hop, così come pensare a cosa rende grande un romanziere, approfondisce il nostro apprezzamento dell’arte che creano. È una parte di ciò che ci permetterà di distinguere i troll da quelli che dicono la verità, e di apprezzare in modo più appropriato il prossimo Kendrick, Big L o Ice Cube, se e quando decideranno di arrivare.
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